venerdì 31 maggio 2013

LA NOTTAMBULA DI MILANO

LA NOTTAMBULA DI MILANO (Enrico Nascimbeni)

Non ha le calze a rete
oppure si
 ma le mette quando e' sola nel suo nido di rondine..
Non dorme 
non mangia
pensa
pensa
sogna
tocca il soffitto
si dipinge il viso coi colori del buio
accende incensi per scacciare i malefici...
La guardo
anzi la spio
mentre dondola il suo corpo
mentre si lava i capelli
e tutto e' un dolce sapere che di lei non so nulla.
Forse 
con l'aiuto di un mago
o di un folletto
un giorno
la portero'
dove tutto e' noi.
 

LA SOLITUDINE DEI NUMERI ULTIMI


DEMOCRAZIA TOSSICA

"Viviamo in una democrazia tossica senza possibilità di emozioni collettive, di valori forti, di un vero atto di coraggio, in una società che ha perso ogni dignità, ogni codice di lealtà ed onore, spietata e feroce senza essere virile, con gli occhi sempre pronti a riempirsi di lacrime ma che ha dimenticato la misericordia. Invettiva che si fa poesia, e la poesia non ammette cinismo, nè indifferenza, nè arroganza nè chiudere gli occhi per non vedere. La poesia è amore per la verità."

CASIDA DELLA DONNA DISTESA (Federico Garcia Lorca)

Vederti nuda è rievocare la terra.
La terra piana e priva di cavalli.
La terra senza un giunco, forma pura
chiusa al futuro: confine d'argento.

Vederti nuda è comprendere l'ansia
della pioggia che cerca fragili fianchi,
o la febbre del mare dal volto immenso
che non trova la luce della sua guancia.

Il sangue risuonerà nelle alcove
e verrà con spada di folgore,
ma tu non saprai dove si celano
il cuore di rospo o la violetta.

Il tuo ventre è uno scontro di radici,
le tue labbra un'alba senza profilo,
e sotto le tiepide rose del letto gemono
i morti, in attesa del loro turno.

"L'istrione" Charles Aznavour

Io sono un istrione, Ma la genialita'e' nata insieme a me, Nel teatro che vuoi Dove un altro cadra', io mi surclassero'. Io sono un istrione, Ma la teatralita' scorre dentro di me Quattro tavole in croce E qualche spettatore, chi sono lo vedrai Lo vedrai... INCISO: In una stanza di tre muri tengo il pubblico con me, Sull'orlo di un abisso scuro Col mio frak e con i miei tics, E la commedia brillera',del fuoco sacro acceso in me E parlo e piango e ridero' Del personaggio che vivro'. Perdonatemi se, con nessuno di voi Non ho niente in comune, Io sono un istrione a cui la scena da' La giusta dimensione. La vita torna in me, Ad ogni eco di scena che io sentiro', E ancora moriro' di gioia e di paura Quando il sipario sale, Paura che potro' Non ricordare piu' la parte che so' gia' Poi, quando tocca a me puntuale sono la' Nel sogno sempre uguale... uguale. Io sono un istrione Ed ho scelto ormai la vita che faro', Procuratemi voi sei repliche in citta' Ed un successo faro' Io sono un istrione E l'arte, l'arte sola e' la vita per me Se mi date un teatro e un ruolo adatto a me Il genio si vedra'... si vedra'... INCISO: Con il mio viso ben truccato e la maschera che ho, Sono enfatico e discreto versi e prosa vi diro', Con tenerezza e con furore, E mentre agli altri mentiro' Fino a che sembri verita' fino a che io ci credero' Non e' per vanita' Quel che valgo lo so' e ad essere sincero Solo un vero istrione e' grande come me Ed io ne sono fiero...

Che cosa diranno i vicini? (Charles Bukowski)

 
I miei genitori erano sempre dietro a
 
Chiederlo

Naturalmente non mi importava un fico di
 
Che cosa diranno i vicini
 
Mi facevano pena i vicini

Codardi
che spiavano da dietro le

Tendine
 
L’intero quartiere si spiava

Addosso
 
E negli anni trenta non c’era molto

Da vedere
 
Eccetto me che tornavo a casa ubriaco

A tarda notte
 
“finirai per uccidere tua madre”

diceva mio padre
 
“e inoltre che cosa diranno

i vicini?”
 
quanto a me pensavo di comportarmi

assai bene
 
in un modo o in un altro

riuscivo a ubriacarmi
 
senza avere in tasca

il becco di un quattrino.
 
Un trucco che mi sarebbe tornato
 
Molto comodo

Più avanti

Negli anni.
 
A peggiorare le cose per i miei poveri
 
Genitori

Cominciai a scrivere lettere al direttore
 
Di un giornale a larga tiratura

Che, per lo più,
venivano pubblicate

E sostenevano tutte
 
Cause impopolari.
 
“che cosa diranno i vicini?”

chiedevano i miei

genitori.
 
Ma le lettere producevano risultati
 
Interessanti – messaggi minatori
 
Incluse minacce di morte a mezzo posta.
 
Inoltre mi misero in contatto

Con certa gente stramba
 
Convinta che io credessi a

Tutto quello che scrivevo.
 
Ci furono incontri segreti

In cantine e solai
 
C’erano pistole

Patti

Discorsi.
 
Quelli erano i posti

Dove scroccavo da bere
 
A molte di quelle assemblee
 
Partecipavano i razzisti

Giovanotti tra

i 17 e i 23 anni
 
“non vogliamo che i neri

ci fottano le donne!

Devono morire!”
 
Sfortunatamente

di donne

io non ne fottevo

proprio.
 
Tutti gli incontri iniziavano
 
Con il saluto sull’attenti

Alla bandiera
 
Che io giudicavo

Dannatamente

Infantile
 
Ma la maggior parte di quei giovanotti
 
Venivano da famiglie

Perbene
 
E dopo le assemblee

Io bevevo con loro.
 
Bevevo più che potevo

Mentre blateravano
 
Non ho mai aperto bocca

Ma non sembravano seccati
 
Ricordavano le mie lettere
 
E non sospettavano che

Fossero un trucco.
 
Non ero un essere umano

Decente
 
Ma certo non ero in combutta
 
Con ideologie

O gruppuscoli.
 
Mi ripugnava

L’intera idea della vita

E degli uomini
 
Ma era più facile
 Scroccare Da bere Ai razzisti
Che alle vecchiette Nei bar:
“non credo che tu sia davvero mio figlio” disse mio padre.
“Che cosa diranno i vicini?” disse mia madre.
Poveri dannati patrioti pazzi illusi.
Dopo che mi cacciarono Di casa
Gliela diedi su Alle assemblee
E andai a vivere da me In una catapecchia a Bunker Hill.
E i miei genitori non dovettero Più preoccuparsi
Di cosa avrebbero detto I vicini.
La casa dei doganieri (Eugenio Montale)
 
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera,
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
 
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
 
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
 
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

giovedì 30 maggio 2013

"L'ultima notte di un vecchio sporcaccione" - Enrico Nascimbeni - Roberto Vecchioni


Evgenij Evtushenko "Sempre si troverà una donna"

Sempre si troverà una donna,
che, fredda e lieve,
compatendo e un poco amando,
ti plachi come un fratello.
Sempre si troverà la spalla di una donna
dove, abbandonata la testa scapestrata,
tu possa respirare con ardore
e a cui possa affidare il tuo ribelle sonno.
Sempre si troveranno gli occhi di una donna
che, smorzando il tuo dolore,
in parte almeno, se non proprio tutto,
vedano la tua sofferenza.
Ma c’è una mano
che ha particolare dolcezza
quando la fronte tormentata sfiora,
come l’eternità e il destino.
Ma c’è una spalla
che, un mistero il perché,
in eterno ti è data, non per una notte sola,
e questo tu da tanto l’hai capito.
Ma ci sono occhi
che appaiono sempre tristi,
e sono gli occhi del tuo amore e della tua coscienza,
fino ai tuoi ultimi giorni.
Ma tu vivi malgrado te stesso,
e quella mano, quella spalla,
quegli occhi tristi non ti bastano…
Quante volte in vita li hai traditi!
Ma eccolo, arriva, il castigo.
Traditore! – ti schiaffeggia la pioggia.
Traditore! – i rami ti sferzano il viso.
Traditore! – rimbalza l’eco nel bosco.
Ti rattristi, ti agiti, ti tormenti.
Non saprai perdonare tutto questo a te stesso.
E solo quella mano diafana perdona,
anche se grave l’offesa,
e solo quella spalla stanca
perdona adesso e perdonerà ancora,
e solo quegli occhi tristi
perdonano quello che non si può perdonare.

Mutazione


ANORMALENORMALE  (Enrico Nascimbeni)

Del mio segreto hanno innondato di voli le rondini
sono stanco  di correre dietro a me stesso
ma cosi' stanco che ho la nausea quando guardo il mio vivere
sistematicamente imbrattato di errori e prese di posizione
da perfetto rivoluzionario dell'imbecillita'.
Lascio del muschio nel presepio delle mie bestemmie quotidiane
io sono
io ero
io avrei potuto essere
Ma che bellezza questo incedere in ciabatte
sulle onde di un mare immaginario che mai mi bagnera'.
Conto le ore
e ho perso il conto.
Mistici parolai ho conosciuto
nelle notti baldracche di quando credevo di avere il mondo nelle mie mani
ed ora che tutto sfugge dalle mani
lentamente
mi
"spengo d'immenso"

LETTERA D'AMORE DI BAUDELAIRE A JEANNE DUVAL

CHARLES BAUDELAIRE PER JEANNE DUVAL Un emisfero in una chioma Lasciami respirare a lungo, a lungo, l’odore dei tuoi capelli. affondarvi tutta la faccia, come un assetato nell’acqua di una sorgente, e agitarli con la mano come un fazzoletto odoroso, per scuotere dei ricordi nell’aria. Se tu sapessi tutto quello che vedo! tutto quello che sento! tutto quello che intendo nei tuoi capelli! La mia anima viaggia sul profumo come l'anima degli altri viaggia sulla musica. I tuoi capelli contengono tutto un sogno, pieno di vele e di alberature: contengono grandi mari, i cui monsoni mi portano verso climi incantevoli, dove lo spazio è più bello e più profondo, dove l’atmosfera è profumata dai frutti. dalle foglie e dalla pelle umana. Nell’oceano della tua capigliatura, intravedo un porto brulicante di canti malinconici, di uomini vigorosi di ogni nazione e di navi di ogni forma, che intagliano le loro architetture fini e complicate su ün cielo immenso dove si abbandona il calore eterno. Nelle carezze della tua capigliatura, io ritrovo i languori delle lunghe ore passate su un divano, nella camera di una bella nave, cullate dal rullio impercettibile del porto, tra i vasi da fiori e gli orcioli che rinfrescano. Nell’ardente focolare della tua capigliatura, respiro l’odore del tabacco, confuso a quello dell’oppio e dello zucchero: nella notte della tua capigliatura, vedo risplendere l’infinito dell'azzurro tropicale; sulle rive lanuginose della tua capigliatura, mi inebrio degli odori combinati del catrame, del muschio e dell’olio di cocco. Lasciami mordere a lungo le tue trecce pesanti e nere. Quando mordicchio i tuoi capelli elastici e ribelli, mi sembra di mangiare dei ricordi.

Eugenio Montale parla della distinzione tra poesia e prosa


Ungaretti parla della poesia

"La poesia e' poesia quando porta in se un segreto" (Ungaretti)


"Lascia che cada il foglio
Dove sta scritto il nome
Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume
E' un riflesso sull'acqua
Una bolla di sapone
E alla fine del libro non c'è spiegazione

Ho viaggiato fino in fondo alla notte
E stava nevicando
E ho visto un grande albergo con le luci spente
E ho avuto tanta paura
Ma nemmeno tanto
La strada andava avanti
Ed io slittavo dolcemente

Lascia che cada il foglio
Dove sta scritto il nome
E metti un palio
Al mio dolore
E non guardare il tempo
Il tempo non ha senso
Domani sarà tempo
Di cose nuove

Ho viaggiato fino in fondo nella notte
Senza guardarci dentro
Senza sapere dove stavo andando
E alle mie spalle il giorno
Si stava consumando
Ed ho provato un poco di tristezza
Ma nemmeno tanto"
("L'in-finito" - Francesco De Gregori)